Lindsay Kemp: Viaggio Onirico
tra Maschere, Emozioni e Scenografie Visionarie
“La mia vita è teatro. E il teatro è la mia vita”

Introduzione: L’Iniziazione Visionaria di un Pittore
Scritto da Gio’ Pasta Pittore Visionario
“Varcai la soglia del teatro come Alice nel Paese delle Meraviglie, e Lindsay Kemp mi afferrò per mano. In un vortice di seta e luce, mi trasformò in un pellegrino dantesco nel suo Inferno Paradisiaco: corpi eterei volteggiavano tra fumi d’incenso, occhi truccati di stelle raccontavano storie senza parole. Ero dentro un quadro vivente di Chagall, dove la gravità non esisteva e ogni gesto era un colore nuovo sulla tela dell’anima.”



Come Alice entra nel mondo di Lindsay
“Non danzava per raccontare una storia.
Danzava per liberare l’anima.”
Così mi ritrovai, come Alice, nel suo mondo
di piume e silenzi.
Ogni gesto erauna porta, ogni costume
un universo. Lì, Lindsay Kemp non interpretava: esisteva.
Varco la soglia. Sono entrato – o forse sono stato invitato
– in un mondo fatto di piume, lustrini, e silenzi che gridano.
Non era teatro. Era un sogno che si muoveva. Al centro
dello spettacolo c’era lui: Lindsay Kemp.
Non danzava: fluttuava. Non recitava: trasmetteva.
Ogni personaggio che interpretavaera uno specchio
deformante di me, di te, di tutti. Uno,
nessuno e centomila — come avrebbe detto Pirandello
— ma in scena, centomila diventavano poesia.
Come Alice entra nel mondo di Lindsay
“Non danzava per raccontare una storia. Danzava per
liberare l’anima.” Così mi ritrovai, come Alice, nel suo
mondo di piume e silenzi. Ogni gesto
era una porta, ogni costume un universo. Lì, Lindsay
Kemp noninterpretava:esisteva. Varco la soglia.
Sono entrato – o forse sono stato invitato -in un
mondo fatto di piume, lustrini, e silenzi che gridano.
Non era teatro. Era un sogno che si muoveva.Al centro
dello spettacolo c’era lui: Lindsay Kemp.
Non danzava: fluttuava.
Non recitava: trasmetteva. Ogni personaggio
che interpretava era uno specchio deformante di me, di te,
di tutti. Uno, nessuno e centomila – come avrebbe
detto Pirandello -ma in scena, centomila diventavano poesia.
L’essere molteplice: Kemp e la maschera dell’identità
“Sono nato danzando. E visto che mi dava così grande piacere,
ho continuato a danzare”

Trio Linzi -1962-63
Kemp non fuggiva dalle etichette. Le accoglieva e
le sovvertiva. Era uomo, donna, spettro,mito.
Un mimo che faceva parlare le mani più della
voce. La sua omosessualità non era una
dichiarazione, ma una celebrazione scenica
della libertà.Ogni trucco sul viso, ogni abito
trasformabile, ogni gesto Kabuki o Butoh
– era un grido muto per dire:
“Io sono come voglio essere.” Kemp era
tutti i personaggi e nessuno.
Uomo, donna, spirito, clown, farfalla.
La sua omosessualità non era provocazione:
era poesia incarnata.
Ogni trucco, ogni abito, ogni sguardo – un atto di libertà.

La Gestualità: Scrittura dell’Anima
Lindsey Kemp non muoveva il corpo: dipingeva con le ossa. Ogni suo gesto era un inchiostro invisibile che scriveva poesie sull’aria. Le dita non si alzavano: fiorivano, disegnando geroglifici di desiderio. Le braccia non si aprivano: squarciavano veli, rivelando universi paralleli dove il maschile e il femminile non erano poli opposti, ma colori della stessa tavolozza. In Flowers, quando sfiorava il volto di un altro danzatore, il tocco non era carne: era un pennello intinto nell’oro liquido dell’empatia. Il corpo diventava testo sacro, un manifesto senza parole che gridava:
“La verità abita nelle curve, non nelle linee rette”

The Angel from Onnagata Dreamdances or Kemp Dances
Il Trucco: Maschera e Rivelazione
Per Kemp, il trucco non nascondeva: svelava stratificazioni d’identità.
Quelle ciglia dipinte di blu cobalto, quelle labbra vermiglie come ferite,
quelle sopracciglia d’oro che sfidavano la gravità: non erano travestimenti,
ma mappe geologiche dell’anima. In Salomé, il volto imbiancato di farina e
sangue era un paesaggio lunare dove l’erotismo e la morte scavavano crateri.
Il trucco era il suo linguaggio di resistenza: una sfida a un mondo che voleva etichette.
“Il mio specchio è un altare”, diceva, “dove ogni mattina creo un nuovo dio. O una dea.
O qualcosa di altro“.

La scenografia come sogno concreto
Io Giò Pasta, ho sempre avuto un debole per
le scenografie, io le creavo, e oggi le immagino
accanto a te, ho tutto vivo qua nel nostro
spettacolo-tributo, tutto diventa simbolo:
teli che si dissolvono al passaggio del
personaggio, come veli tra realtà e fantasia.
Una vasca d’acqua riflettente dove il
protagonista si specchia e non si riconosce.
Specchi sospesi che mostrano
ogni lato possibile dell’identità, anche quelli
più fragili. Questa scenografia non sostiene
la scena. “La trasforma”.

Teatro come Arte Visiva Pura: La Tela Vivente
Kemp non metteva in scena spettacoli: dava vita a quadri in movimento. Il palco era la sua tela, i corpi pennellate di carne e luce. In Duende, i danzatori si muovevano come figure di Dalí sciolte dalla cornice: silhouette nere contro fondali arancione, ombre che si allungavano fino a inghiottire il pubblico. Non c’era bisogno di dialoghi: il corpo parlava attraverso la geometria delle braccia, il ritmo dei respiri, il tremore di un polso. Era teatro ridotto all’essenza, come un Rothko che evoca dolore solo con due rettangoli di colore.
“Il palcoscenico è il mio studio”, amava ripetere, “e gli spettatori sono i miei modelli”.
Estetica e Sentimento: Il Sangue sotto la Polvere di Stelle
La sua bellezza non era decorativa: era un bisturi che sezionava l’umano. In The Big Parade, i costumi luccicanti di paillettes coprivano corpi fragili, malati, in decadenza. Quella contraddizione era la sua firma: la polvere di stelle sopra la ferita. Per lui, l’estetica nasceva dal conflitto tra splendore e sofferenza, come in Caravaggio, dove la luce divina irrompe nel buio dei bassifondi.
“Siamo tutti reliquie“, sussurrava ai suoi allievi, “ma le nostre crepe contengono universi”.
Esploriamo l’universo di Lindsey Kemp in questo viaggio tra maschere, sogni e libertà. Attraverso L’iniziazione di un Pittore visionario.
Flowers (1968): Nel Giardino delle Identità Fluide

“Kemp apparve come Divine, la drag queen di Genet, avvolta in petali di giglio. La scena era un bordello celeste: corpi si intrecciavano tra spine e rose, mentre io, spettatore, fluttuavo tra estasi e tormento. Come Alice bevve dalla bottiglia ‘Bevimi’, vidi i confini di genere dissolversi in un balletto di metamorfosi.”
Opera cardine del teatro della crudeltà, Flowers era un manifesto politico-sensuale. Kemp attinse da Genet e Artaud, trasformando il tabù in bellezza. La collaborazione con David Bowie (che ne fu allievo) germogliò qui: Bowie imparò da Kemp l’arte della reinvenzione corporea, portandola nello Ziggy Stardust Tour. Il messaggio?
David Bowie e l’Amore che Cambiò la Storia
La relazione con Bowie (1967-69) fu un manifesto politico in carne e lustrini. In un’epoca in cui l’omosessualità era illegale in UK, i loro baci backstage e le passeggiate in abiti femminili a Soho erano atti di guerriglia. Kemp insegnò a Bowie che la fluidità era potere: “Se la società ti chiama ‘strano’, tu trasformati in un alieno così bello da farli inginocchiare”. Quel legame generò Ziggy Stardust: un alieno bisessuale che fece impazzire il mondo. “David ed io eravamo due angeli caduti”, confessò Kemp, “ma avevamo le ali dipinte di glitter”.

L’identità è un giardino da coltivare, non una gabbia.

Flowers Lindsay Kemp Neil-Caplan The-Finale
Salomé (1977): La Danza dei Veli e del Desiderio

“Quando Kemp/Salomé sollevò il settimo velo, il teatro divenne un deserto infuocato. I suoi piedi sanguinavano su specchi rotti, mentre la testa di Giovanni Battista pulsava in una bara di luci. Io ero Erode, ipnotizzato e colpevole: un peccato così bello da bruciare gli occhi.”
Rivisitando Wilde, Kemp esplorò l’erotismo come forza distruttiva e sacra. Le influenze andavano al kabuki giapponese (maschere bianche, movimenti stilizzati) e alla Butō di Hijikata. L’acqua, simbolo di purificazione, inondava il palco nel finale: la morte non era fine, ma inizio di una trasmutazione.

Il Sogno di una Notte di Mezza Estate (1979): Puck, Folletto Alchemico
“Puck-Kemp mi sussurrò all’orecchio mentre volava su un carro di funghi luminosi. La foresta era un labirinto di corpi dipinti d’argento, e io, smarrito tra fate e amanti, ridevo e piangevo come un bambino. Shakespeare non fu mai così psichedelico.”
Kemp stravolse la commedia shakespeariana in un rituale pagano. I riferimenti? La Commedia dell’Arte (Puck come Arlecchino) e il cinema muto (Chaplin). Con Kate Bush, che recitò nello spettacolo, condivise l’ossessione per il mito: la magia è la lingua madre dell’inconscio.

Duende (1991): L’Urlo di Lorca Incarnato
“Un toro di velluto nero mi caricò, mentre Kemp/Federico García Lorca lanciava versi di sangue sulla luna. Ero nella Spagna della Guerra Civile, tra gitani e fantasmi, e il duende non era un concetto, ma un demone che mi strappava il cuore.”
Omaggio a Lorca, Duende fuse flamenco e butō. La musica di Debussy e le ombre di Goya crearono un affresco sulla morte come atto d’amore. Kemp insegnava: l’arte nasce dalla ferita, non dalla perfezione.

Lindsay Kemp Company Duende Teatro Metastasio Prato 1981
The Big Parade (2014): I’ Addio che Danza con la Morte
“Kemp, scheletro vestito di paillettes, marciava verso il nulla su una musica di marcia funebre. Io ero un soldato nella trincea del tempo, e quando cadde tra i miei bracci, seppi che la morte era solo l’ultimo travestimento.”
Autobiografia silenziosa ispirata ai film muti, The Big Parade fu il suo testamento. Citava Charlot e le danze macabre medievali. Debole e malato, Kemp trasformò il declino fisico in un inno alla caducità:
la fine è la performance più radicale.

Lindsey Kemp: Uno, Nessuno e Centomila
Come Pirandello scrisse, Kemp fu “uno, nessuno e centomila”:
Uno: L’uomo timido di South Shields, cresciuto con una madre che lo portava a vedere i film
di Dietrich.
Nessuno: Il mistico che visse in un monastero zen in Giappone, cercando l’annullamento
dell’ego.
Centomila: Il camaleonte che divenne Divine, Salomé, Puck e Lorca.
La sua vita fu un palcoscenico senza confini: insegnò a Bowie a “morire sul palco ogni sera”,
ispirò le coreografie di Kate Bush in The Kick Inside, e creò una scuola a Livorno dove gli allievi
dovevano danzare nudi sotto la luna.
Pensando a Lindsay fuori dal palco: luci e ombre di un’anima fragile
Dietro il cerone, dietro gli occhi truccati, c’era un uomo: bambino senza padre, cresciuto col
mare negli occhi.
L’Infanzia Incantata: A 5 anni, s’innamorò del cinema dopo aver visto Il Ladro di Bagdad.
Si costruì un proiettore con scatole di cereali. Espulso da accademie, ignorato da maestri,
ma mai domato.La Debolezza Segreta: Odiava la sua voce, tanto che nei monologhi usava
registrazioni o musica.
L’Esilio Zen: Nel 1980, fuggì in Giappone dopo una crisi creativa. Meditava 8 ore al giorno.
L’Amore con David: Con Bowie non fu solo maestro-allievo. Si scrissero lettere d’amore in
codice ispirate a Rimbaud.
Il Feticcio: Portava sempre una piuma di pavone nella tasca: “È il mio passe-partout per
il mondo degli Dei”
La Paura del Vuoto: Prima di ogni spettacolo, vomitava dietro le quinte.
La Gioia Semplice: Adorava il tè alle rose e i biscotti della nonna, che mangiava nel camerino.
L’Incidente Magico: Durante Salomé (Roma, 1982), scivolò sul sangue finto. Il pubblico pensò
osse parte dello spettacolo e applaudì.
La Generosità: Pagò di tasca propria la tournée di un allievo squattrinato, vendendo un quadro
di Dalí.
L’ultimo Scherzo: Nel testamento, chiese che al suo funerale si ballasse
Bolero di Ravel con costumi da pagliacci. Edonista che ha vissuto la gioia
e il dolore con la stessa intensità.Ha amato, ha sofferto, ha creato.
E ha scelto l’Italia per vivere i suoi ultimi anni, come se la bellezza barocca del nostro paese potesse contenere la sua
anima esplosa.

Il tributo: “Ali di Silenzio”
Immaginate un personaggio ispirato a Kemp.
Non ha nome. È tutti i nomi.
Entra in scena, attraversando uno specchio.
Parla con gli occhi. Danza con il dolore.
Si trasforma, e nel suo ultimo gesto… apre le
braccia come ali.- “Il rituale è una parte di ciò che faccio
e di ciò che ho sempre fatto. Il rituale è presente nella
bellezza e nell’immobilita del teatro Giapponese.
E’ anche ciò che abbiamo ereditato dal teatro antico.
Cio’ che sono non è tanto all’avanguardia….sono molto di più
di un razionalista. Come ogni vero artista, tutto ciò che ho
fatto è una reinvenzione di ciò che ho ereditato dal passato.
Sono stato molto fortunato ah ereditarlo o, a rubarlo”-
E il pubblico non applaude. Il pubblico respira il silenzio.

“Teatro Queer” o “Arte LGBTQIA+”.
E’ importante mostrare come Kemp abbia trasformato il dolore in bellezza, facendo del palco uno spazio di libertà assoluta. Citerò le sue dichiarazioni sull’orgoglio di essere “regina” e la sua relazione con Bowie come elementi chiave.
Userò metafore artistiche (il corpo come tela, il trucco come pennello) e manterrò quel tono da “viaggio visionario” come è nel mio stile.
L’Omosessualità come Atto Rivoluzionario: Un Regalo all’ABC di LGBTQIA+
Kemp non era semplicemente gay: era un arcobaleno vivente che rifiutava ogni sigla. La sua omosessualità non era un tema: era l’ossigeno della sua arte, il fuoco che fondeva maschere e verità.
- La Gioia: In Flowers, trasformò il dolore delle drag queen emarginate in una festa dionisiaca. Quando ballava in tacchi a spillo, ridendo tra i petali, celebrava il diritto alla felicità eccentrica. “Siamo regine non per scappare dalla realtà, ma per governare un regno più bello”.
- Il Dramma: In Salomé, il desiderio omoerotico diventava lama sacrificale. La scena del bacio alla testa mozzata era un grido contro l’ipocrisia: “Mi avete chiamato mostro? Ecco, vi mostro quanto è divino il nostro amore”.
La Liberazione: Non recitava personaggi: scioglieva la sua essenza in ogni ruolo. Come Puck, era folletto androgino; come Lorca, poeta martire della libertà sessuale. La sua arte

Aggiungerò anche un riferimento alla sua scuola “Il Monastero Laico di Livorno” come eredità vivente per la comunità queer.

La sua scuola in Italia divenne un santuario per anime in transito. Qui, ragazzi cacciati di casa per essere gay trovavano rifugio. Kemp li faceva danzare nudi sulla spiaggia all’alba: “Il corpo è un tempio, ma i preti hanno rubato le chiavi. Riprendetevele!”. Gli esercizi erano rituali di emancipazione:

Teaching – Lindsay Kemp
Liberarsi dalle parole: Comunicare solo con sguardi e gesti.
Truccarsi come divinità: Scegliere un dio che somigliasse al proprio desiderio.
Ballare la propria omosessualità: “Non dite ‘sono gay’. Siate un uragano di seta e muscoli“.

Epilogo: L’Arcobaleno Incarnato
Kemp ci ha insegnato che l’identità non è una prigione, ma una coreografia infinita. Ogni suo gesto, ogni strato di trucco, ogni bacio tra uomini sul palco era un atto d’amore per chi, fuori, lottava per respirare. La sua arte gridava:
“Siate mostri, se necessario. Ma mostri così splendenti da accecare chi vi vuole invisibili”

Epilogo: L’Eredità dell’Alchimista
Lindsey Kemp non recitava: trasmutava. Il suo corpo era un Atanor dove dolore e estasi
diventavano oro scenico. Oggi, mentre dipingo nel mio studio, sento le sue parole:
“La libertà è una danza selvaggia tra mille maschere. Scegline una, poi bruciala.
Solo così trovi te stesso.
Pubblicato da Gio’ Pasta – Pittore Visionario e Custode di Sogni
Un mio tributo scenico e personale all’artista che ha
trasformato la fragilità umana in teatro Immortale
non finisce qui:
“La dinamicità della forma nel palcoscenico della follia”





